Davide Santon si ritira a 33 anni, colpa degli infortuni?

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Ho appena finito di leggere un articolo su Davide Santon, giocatore di calcio che all’età di 33 anni annuncia il suo ritiro dal mondo del pallone per problemi fisici legati principalmente alle ginocchia.

Si respira amarezza e tristezza leggendo questo articolo, accusato di essere rimasto solo per soldi, lui al contrario ritiene di aver dato tutto al calcio, di aver addirittura sacrificato il suo corpo per il calcio.

Mi sento di fare un ragionamento al riguardo.

Ma un atleta deve distruggersi per poter dire di aver dato tutto per il suo sport?
E nel caso di specie, Santon può dire di aver dato davvero tutto?

I limiti fisici dello sportivo

Non più tardi di qualche giorno fa un super campione dello sport come Roger Federer ha dato l’addio al tennis con un’ultima spettacolare partita a Londra in un doppio con l’amico e rivale di sempre, Rafa Nadal. Certo, l’usura con il tempo si paga ma è stato proprio Federer a dichiarare “Conosco il mio corpo, capacità e limiti, e il messaggio del mio corpo per me ultimamente è stato chiaro, ho 41 anni”.

Quello che si evidenzia nell’articolo su Santon è tutt’altro: su di lui il male non è più solo fisico e dovuto al normale deterioramento dettato dagli sforzi fisici durati anni, ma anche interiore, e lo costringe al ritiro perché è sempre a rischio infortunio e non si diverte più.

Le “urgenze” della salute sono le cose più importanti?

Negli anni ho avuto la fortuna di lavorare con diversi campioni dello sport e mi son reso conto che i più longevi ed in salute hanno saputo accerchiarsi di uno staff che non lavorava solo ed esclusivamente sulle urgenze date dagli infortuni, ma che sapeva valutare e gestire nel complesso gli aspetti importanti della loro salute.

E allora torniamo alla domanda fatta sopra: Santon può dire di aver dato davvero tutto per il suo sport?

Azzardo, con il massimo rispetto: Santon non ha dato tutto per il suo sport, perché non ha potuto dare tutto, è stato costretto ad un ritiro anticipato perché i medici e i terapisti che nel corso degli anni si sono occupati di lui si forse sono concentrati esclusivamente sul problema ginocchia, dove si verificava l’infortunio e da dove scaturiva il sintomo. La metto in ipotetico, perchè ovviamente non posso sapere la realtà, ma in base alla mia esperienza e vedendo i risultati di un approccio posturologico su persone date per “spacciate”….

Avevamo già parlato in questo post di come mai i campioni spesso faticano a tornare dopo un infortunio.

 

Visione terapeutica Posturologica

Credo che per poter seguire un atleta in maniera efficace e permettergli di avere una lunga carriera sportiva bisogna avere una visione terapeutica che prevede una lettura non ristretta, ma chiara e completa del paziente.

E spesso in Italia non è così, basti pensare che nel calcio la preparazione per un team di 25-30 persone è tutt’altro che personalizzata (come invece avviene nell’atletica leggera o in altre discipline dove il rapporto terapista-atleta è molto più intenso e l’azione su misura).

E a tal fine è utile che l’atleta abbia a disposizione uno staff di terapisti che si prenda cura di lui a 360°, senza fossilizzarsi necessariamente ed esclusivamente sul sintomo e sul tentativo di eliminarlo, rischiando in tal modo di tralasciare a monte aspetti ben più rilevanti (come ad esempio la postura o la propriocezione), determinanti in primis lo stato di malessere generale del paziente.

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